16 - La Rocca e il mistero “DLA CA’ ‘D PAJRET”
Fra le grotte e i numerosi ripari sottoroccia esistenti sulla Rocca di Cavour, il luogo più conosciuto e misterioso è senz’altro la cosiddetta “ Ca’ ‘d Pajret”, una caverna situata lungo il sentiero omonimo che, dal lato Nord, conduce verso la vetta.
Ma chi era Pajret? E poi, è veramente esistito o è frutto di una leggenda?
La tradizione lo vuole ora eremita, ora barbone, ora ancora vagabondo e anche pazzo, oppure un disertore in fuga, incapace di ritornare alla sua realtà.
C’è però qualcuno che ha lasciato una testimonianza scritta che lo riguarda molto da vicino: è una testimonianza inedita, lasciata dall’anziana compianta insegnante Felicina Boaglio negli anni settanta, al nipote Francesco Zavattaro, che gentilmente ce l’ha fatta pervenire. La riportiamo integralmente qui di seguito con la speranza che anche qualcun altro, leggendo, possa farci pervenire qualche particolare nuovo, magari frutto di racconti o di “sentito dire” da nonni e bisnonni:
“Si tramandavano di generazione in generazione, erano la gioia di quanti le ascoltavano dalle tremule, sdentate bocche di vecchie nonne, le molte leggende che la Rocca aveva creato, custodito, deformato. Ma questa che m’appresto a scrivere non è leggenda. Non è errato definirla cronistoria, essendo una precisa realtà vissuta tra le brume dell’Ottocento e gli albori del Novecento da una strana figura d’uomo che i moderni chiamerebbero “barbone”. Non era né un vagabondo, né un mendicante: sicuramente un poveraccio che amava la natura e aveva fissato la sua dimora in una caverna situata sotto la vetta della Rocca, tutt’ora agibile e visibile, che dal suo originale inquilino ne prese e ne conserva il nome: “la cà ‘d Pajret”. Non c’è cavourese che ne ignori l’ubicazione e forse, a quei tempi, non c’era coppietta che non vi trovasse discrezione e rifugio…
Quando la primavera rinverdiva i fianchi boscosi di questa nostra bizzarra montagnola fitta di castagneti, il solitario inquilino si dava da fare a costruire in un piccolo spiazzo pianeggiante antistante l’ingresso di questa sua casa da troglodita, una rudimentale giostra tutta in legno che lui stesso azionava a braccia e che era diventata la grande attrazione del mondo piccino.
Negli assolati meriggi estivi si poteva assistere ad un “luna park” veramente unico nel suo genere. Con un soldino e a turno, i bimbi del paese vivevano la loro ora gioconda e lo strano costruttore, con seria dignità, si guadagnava il pane quotidiano.
Alcuni vecchi ultranovantenni ancora oggi sorridono ricordando e raccontando la loro lontana domenica di gioia sulla “giostra ‘d papà Pajret”.”