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69 - La ghiacciaia di Cavour

69 - La ghiacciaia di Cavour

Queste strutture, alla fine dell’800 e per la prima metà del ‘900, cioè finchè non apparvero nel commercio i primi frigoriferi, erano presenti in quasi tutti i paesi per rifornire, in generale, le piole e i macellai, mentre nelle città trovavano spazio le fabbriche di ghiaccio artificiale.

In campagna organizzare la ghiacciaia era uno dei lavori comunitari a cui partecipavano in molti e tanti ne usufruivano; c’era l’iniziativa dei privati, ma, in alcuni casi interveniva il Consiglio Comunale  per attuare un bene utile a tutta la Comunità: così a Piscina, Candiolo, Stupinigi e a Vigone.

La ghiacciaia di Casa Carle di Cavour verso il 1915-16 venne condotta dalla Fam. Palmero.

Il ghiaccio si formava allagando “a strati” un appezzamento di terreno infossato di circa m 100x20: l’acqua del Rio Marone allora era molto pulita come quella delle altre bealere e le gelate erano forti.

In seguito i manovali tagliavano i pezzi di ghiaccio con le asce.

Una parte del ghiaccio veniva venduta subito ai macellai, che lo conservavano nelle loro cantine. Il restante veniva conservato nella cantina-ghiacciaia sul luogo di produzione. La cantina poteva misurare anche 15/18 m di profondità e 8/10 di larghezza.

La ghiacciaia “Carle” (che esiste tuttora adibita però dalla famiglia ad altro uso) era scavata nel terreno e completamente rivestita di mattoncini. La volta a cupola era coperta all’esterno con uno strato molto alto di terra, così il ghiaccio (tagliato e posizionato all’interno a strati con della paglia) si conservava fino all’estate per tutte le necessità.

Era una delle cosiddette ghiacciaie da trapòs (ved. traposé, deporre, traporre, porre momentaneamente, dal vocabolario Piemontese-Italiano di Don Michele Ponza – 1859).

Questa attività si è esaurita negli anni 60/65 con l’ultimo gestore della ghiacciaia che è stato Accastello Stefano, detto Giuspin.

E’ probabile che, all’inizio del 1800, un’altra ghiacciaia esistesse a Cavour “alle falde della Rocca e a piena notte della medesima”.

Infatti si ha notizia che l’Istituto Pollano, riservato alle “povere figlie” e situato nella zona denominata “la carossera”, nel 1839 veniva trasferito altrove, presso “la casa dell’ospedale”, perché, fra gli altri problemi, presentava anche quello di “essere esposto nella stagione invernale ad insolenzie dai giovani che accorrono alla giacciaja e, nell’estate, a quelli che si recano a diporto sulla montagna”.

 

 


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