Ritrovati in Argentina i discendenti di Giovanna Bertolino, partita da Cavour nel 1909
La storia che vi sto per raccontare è una storia lunga e triste, però con lieto fine. Nel 1958 ero una bambina di 7 anni, e la mia nonna paterna nella vià raccontava a me e a mio fratello (maggiore di 6 anni) che sua sorella Giovanna Bertolino era andata in America (Argentina) nel lontano 1909. Era partita con il marito dopo il matrimonio in viaggio di nozze, in cerca di fortuna (così si diceva allora).
Effettivamente erano emigrati perché in casa loro non c’era pane sufficiente per tutti i figli.
Negli anni successivi, le lettere che arrivarono a mia nonna descrivevano la tristezza che la sorella Giovanna aveva in cuore. Parole di dolore, le pagine macchiate dalle lacrime.
Nel 1961 giunse l’ultima lettera; chiedeva alla sorella che valore avessero 100 lire in pesos. Noi bambini non riuscivamo a capire, ma la nonna e suo fratello Giacomo avevano inteso benissimo…
I genitori di Giovanna erano deceduti nel 1934 – 1936 e, tramite un mediatore, i figli rimasti in Italia avevano inviato la loro piccola parte d’eredità, purtroppo mai arrivata in Argentina (nel frattempo anche il mediatore morì, lasciando irrisolta la questione).
Nel 1961 si interruppero i contatti, non si sa se per l’età avanzata di Giovanna o per dissapori di cui si è persa memoria.
Io, crescendo, ho sempre sentito il desiderio di ritrovare queste persone. L’idea di avere parenti in Argentina mi entusiasmava, anche perché mio nonno, marito di Angela, era un trovatello e non aveva parenti se non la famiglia Boetto che l’aveva adottato, lasciandogli però il suo cognome nativo: Zai.
Ormai erano passati tanti anni, e noi non possedevamo alcun indirizzo recente. Nel 2005 l’idea di ritrovarli si ripresentò più forte che mai.
Mi misi in contatto con una signora di Vigone, Maria Teresa Ghione, divenuta per noi una grande amica, che si occupa di queste ricerche per passione, la stessa con cui ho studiato lo spagnolo.
Conservavo, nella scatola delle vecchie foto, l’ultima lettera giunta dall’Argentina, con una fotografia di Giovanna con tre dei suoi cinque figli, ed un'altra di suo figlio Antonio, quartogenito, spedita alla mia nonna Angela. Sul retro di quest’ultima foto c’era scritto: “Sono vostro nipote e cugino Antonio Raso, classe 1922”.
Maria Teresa, con questa poca documentazione e tanta passione, si dedicò alla ricerca. Dopo parecchi tentativi riuscì a mettersi in contatto con un interprete argentina facendole avere le date di nascita di Antonio ed il timbro postale apposto sull’ultima lettera, che indicava: “Viamonte – Provincia di Cordoba”.
Dopo appena 2 mesi di ricerche ricevemmo la bella notizia;era riuscita a mettersi in contatto con le due figlie di Antonio: Norma, 60 anni, e Cora, 54.
Crebbe così la voglia intensa di incontrarli, di conoscerli, di abbracciarli. Sapere che a tanta distanza c’erano persone con il nostro stesso sangue ci univa profondamente.
Cosi ci mettemmo in contatto tramite lettere scritte e ci scambiammo delle foto. Noi li invitammo subito a venire a Cavour, ma ci comunicarono che purtroppo per loro non era (ancora) possibile economicamente.
Affrontammo così l’idea di fare un viaggio, ed andare noi da loro. Il 17 gennaio 2008 mio marito e io siamo partiti per l’Argentina, Torino – Madrid – Buenos Aires.
Arrivati all’aeroporto, loro erano lì ad aspettarci. E’ indescrivibile l’emozione provata, pianti, baci, abbracci, un’immensa gioia riempiva i nostri cuori.
Ci hanno accolti nelle loro case, umili ma calde d’amore. Sin dai primi giorni trascorsi con loro abbiamo ripercorso la vita della nonna Giovanna, purtroppo poco rosea. Era arrivata in Argentina nel 1909 con suo marito Josè dopo un lungo viaggio in bastimento durato circa 40 giorni. Arrivati a Buenos Aires furono rinchiusi nelle “case rosse” in quarantena; finita la quarantena si diressero in un piccolo paese chiamato Del Campillo in provincia di Cordoba, a circa 500 km da Buenos Aires. Lì si costruirono una baracca di fango, erba pagliustre e legno, in un campo lontano dal paesino.
Giovanna ebbe ben 5 figli, di cui uno ancora vivo, Eugenio, il più giovane. Anche lì il pane era scarso; si misero al lavoro facendo i verdurieri (allora il Governo regalava un pezzo di terra agli emigrati). Il marito suonava spesso la fisarmonica alle feste, prendendo così la brutta abitudine di bere. Ritornava a casa anche dopo tre o quattro giorni, ubriaco, maltrattava la moglie ed i figli. Giovanna lavorava sodo nei campi per poter sfamare i figli, che divenuti adulti, se ne andarono in cerca di lavoro. Tre di loro si misero a fare i panettieri, è ciò permise loro di mettere su famiglia.
Giovanna, con fatica, tirò avanti fino alla vecchiaia, trascorrendo gli ultimi anni di vita con i figli, dove morì, finalmente serena (almeno si spera).
Durante il nostro viaggio abbiamo visitato il cimitero dove furono sepolti Giovanna e suo marito Josè, il figlio Antonio e la moglie. Aperto il panteon di famiglia, con stupore abbiamo visto la bara di nonna Giovanna (deceduta nel 1973) coperta con un lenzuolo bianco ricamato, e di fianco a lei, i suoi familiari. L’emozione è stata grande, quasi da svenire.
Ora ripensando a tutta la nostra storia, credo che il Signore ci abbia aiutati facendoceli ritrovare, colmando il vuoto che avevo nel cuore.
La voglia di conoscere tutti i parenti lì in Argentina era davvero profonda; così abbiamo organizzato un pranzo, con l’aiuto di Norma e Cora, telefonando a tutti per invitarli. Tutti hanno accolto il nostro invito, e domenica 27 gennaio ci siamo finalmente incontrati. Eugenio, il figlio minore di Giovanna, è vivente, ha 80 anni; sua moglie Ester 76, ed hanno fatto ben 500 km di strada per incontraci!
E’ stata un’emozione davvero grande, attorniati da parenti piccoli e grandi. Nella mia mente non c’era più spazio per nient’altro, ma solo gioia immensa.
Purtroppo a sera è giunto il momento di lasciare alcuni di loro e la tristezza ci ha pervasi. Ci consolava il poter ancora trascorrere alcuni giorni con Norma, Cora e le loro famiglie, visitando i paesi limitrofi, accompagnati da loro e dal loro buonumore.
Costantemente ci hanno ringraziati per averli cercati, poiché non avevano mai saputo di avere parenti in Italia (nonna Giovanna non aveva raccontato nulla, probabilmente profondamente amareggiata per non aver potuto ritornare in Italia a rivedere i suoi cari).
Lì, in quei luoghi lontani, abbiamo incontrato tanti Italiani con storie simili nel cuore, ed una grande voglia di ritornare in patria.
Forse, se Dio vorrà, qualcuno dei nostri parenti verrà a trovarci nel 2009. Se per qualche motivo questo progetto non potrà essere realizzato, sicuramente ritorneremo noi da loro. Adesso che li abbiamo ritrovati, non ci lasceremo mai più. Promesso.
Negli anni successivi, le lettere che arrivarono a mia nonna descrivevano la tristezza che la sorella Giovanna aveva in cuore. Parole di dolore, le pagine macchiate dalle lacrime.
Nel 1961 giunse l’ultima lettera; chiedeva alla sorella che valore avessero 100 lire in pesos. Noi bambini non riuscivamo a capire, ma la nonna e suo fratello Giacomo avevano inteso benissimo…
I genitori di Giovanna erano deceduti nel 1934 – 1936 e, tramite un mediatore, i figli rimasti in Italia avevano inviato la loro piccola parte d’eredità, purtroppo mai arrivata in Argentina (nel frattempo anche il mediatore morì, lasciando irrisolta la questione).
Nel 1961 si interruppero i contatti, non si sa se per l’età avanzata di Giovanna o per dissapori di cui si è persa memoria.
Io, crescendo, ho sempre sentito il desiderio di ritrovare queste persone. L’idea di avere parenti in Argentina mi entusiasmava, anche perché mio nonno, marito di Angela, era un trovatello e non aveva parenti se non la famiglia Boetto che l’aveva adottato, lasciandogli però il suo cognome nativo: Zai.
Ormai erano passati tanti anni, e noi non possedevamo alcun indirizzo recente. Nel 2005 l’idea di ritrovarli si ripresentò più forte che mai.
Mi misi in contatto con una signora di Vigone, Maria Teresa Ghione, divenuta per noi una grande amica, che si occupa di queste ricerche per passione, la stessa con cui ho studiato lo spagnolo.
Conservavo, nella scatola delle vecchie foto, l’ultima lettera giunta dall’Argentina, con una fotografia di Giovanna con tre dei suoi cinque figli, ed un'altra di suo figlio Antonio, quartogenito, spedita alla mia nonna Angela. Sul retro di quest’ultima foto c’era scritto: “Sono vostro nipote e cugino Antonio Raso, classe 1922”.
Maria Teresa, con questa poca documentazione e tanta passione, si dedicò alla ricerca. Dopo parecchi tentativi riuscì a mettersi in contatto con un interprete argentina facendole avere le date di nascita di Antonio ed il timbro postale apposto sull’ultima lettera, che indicava: “Viamonte – Provincia di Cordoba”.
Dopo appena 2 mesi di ricerche ricevemmo la bella notizia;era riuscita a mettersi in contatto con le due figlie di Antonio: Norma, 60 anni, e Cora, 54.
Crebbe così la voglia intensa di incontrarli, di conoscerli, di abbracciarli. Sapere che a tanta distanza c’erano persone con il nostro stesso sangue ci univa profondamente.
Cosi ci mettemmo in contatto tramite lettere scritte e ci scambiammo delle foto. Noi li invitammo subito a venire a Cavour, ma ci comunicarono che purtroppo per loro non era (ancora) possibile economicamente.
Affrontammo così l’idea di fare un viaggio, ed andare noi da loro. Il 17 gennaio 2008 mio marito e io siamo partiti per l’Argentina, Torino – Madrid – Buenos Aires.
Arrivati all’aeroporto, loro erano lì ad aspettarci. E’ indescrivibile l’emozione provata, pianti, baci, abbracci, un’immensa gioia riempiva i nostri cuori.
Ci hanno accolti nelle loro case, umili ma calde d’amore. Sin dai primi giorni trascorsi con loro abbiamo ripercorso la vita della nonna Giovanna, purtroppo poco rosea. Era arrivata in Argentina nel 1909 con suo marito Josè dopo un lungo viaggio in bastimento durato circa 40 giorni. Arrivati a Buenos Aires furono rinchiusi nelle “case rosse” in quarantena; finita la quarantena si diressero in un piccolo paese chiamato Del Campillo in provincia di Cordoba, a circa 500 km da Buenos Aires. Lì si costruirono una baracca di fango, erba pagliustre e legno, in un campo lontano dal paesino.
Giovanna ebbe ben 5 figli, di cui uno ancora vivo, Eugenio, il più giovane. Anche lì il pane era scarso; si misero al lavoro facendo i verdurieri (allora il Governo regalava un pezzo di terra agli emigrati). Il marito suonava spesso la fisarmonica alle feste, prendendo così la brutta abitudine di bere. Ritornava a casa anche dopo tre o quattro giorni, ubriaco, maltrattava la moglie ed i figli. Giovanna lavorava sodo nei campi per poter sfamare i figli, che divenuti adulti, se ne andarono in cerca di lavoro. Tre di loro si misero a fare i panettieri, è ciò permise loro di mettere su famiglia.
Giovanna, con fatica, tirò avanti fino alla vecchiaia, trascorrendo gli ultimi anni di vita con i figli, dove morì, finalmente serena (almeno si spera).
Durante il nostro viaggio abbiamo visitato il cimitero dove furono sepolti Giovanna e suo marito Josè, il figlio Antonio e la moglie. Aperto il panteon di famiglia, con stupore abbiamo visto la bara di nonna Giovanna (deceduta nel 1973) coperta con un lenzuolo bianco ricamato, e di fianco a lei, i suoi familiari. L’emozione è stata grande, quasi da svenire.
Ora ripensando a tutta la nostra storia, credo che il Signore ci abbia aiutati facendoceli ritrovare, colmando il vuoto che avevo nel cuore.
La voglia di conoscere tutti i parenti lì in Argentina era davvero profonda; così abbiamo organizzato un pranzo, con l’aiuto di Norma e Cora, telefonando a tutti per invitarli. Tutti hanno accolto il nostro invito, e domenica 27 gennaio ci siamo finalmente incontrati. Eugenio, il figlio minore di Giovanna, è vivente, ha 80 anni; sua moglie Ester 76, ed hanno fatto ben 500 km di strada per incontraci!
E’ stata un’emozione davvero grande, attorniati da parenti piccoli e grandi. Nella mia mente non c’era più spazio per nient’altro, ma solo gioia immensa.
Purtroppo a sera è giunto il momento di lasciare alcuni di loro e la tristezza ci ha pervasi. Ci consolava il poter ancora trascorrere alcuni giorni con Norma, Cora e le loro famiglie, visitando i paesi limitrofi, accompagnati da loro e dal loro buonumore.
Costantemente ci hanno ringraziati per averli cercati, poiché non avevano mai saputo di avere parenti in Italia (nonna Giovanna non aveva raccontato nulla, probabilmente profondamente amareggiata per non aver potuto ritornare in Italia a rivedere i suoi cari).
Lì, in quei luoghi lontani, abbiamo incontrato tanti Italiani con storie simili nel cuore, ed una grande voglia di ritornare in patria.
Forse, se Dio vorrà, qualcuno dei nostri parenti verrà a trovarci nel 2009. Se per qualche motivo questo progetto non potrà essere realizzato, sicuramente ritorneremo noi da loro. Adesso che li abbiamo ritrovati, non ci lasceremo mai più. Promesso.
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