Anche a Cavour esisteva per gli emigranti un "rappresentante di navi per l'imbarco dei passeggeri”
L’ insegna era in bella vista sul muro di facciata della tipografia – libreria-studio fotografico di Giovanni BIMA, in via Conte Cavour, alla fine dell’Ottocento/inizio Novecento. Allora l’emigrazione era quasi una via obbligata per riscattarsi da una vita di stenti e di miseria. Assieme alle decine di migliaia di connazionali del Meridione, partirono migliaia e migliaia di piemontesi che affrontarono l’ avventura del mondo nuovo attraversando l’oceano con i cosiddetti “barcon”.
Questi mezzi di navigazione (navi, piroscafi, bastimenti) in partenza da Genova o da le Havre in Francia, avevano i nomi più disparati: “Colombo”, “Gerusalemme”, “Yenni”, “Italia”, “Tyto”, “Sirio”, “Vaterland”, “Mauritania”, “Conte Verde”, “Paranà”, “Savoia”, “La Provence”, “Chicago”, “Gascogne”, “Principessa Mafalda”.
Quest’ultima affondò nel 1927 al largo del Brasile. Le vittime furono 314, e, anche se questo purtroppo non fu il caso più tragico, per ricordare questo fatto nacque la canzone “IL MAFALDA”, resa famosa dal noto cantautore piemontese Gipo Farassino.
“ E da Genova, Mafalda partiva
con migliaia e più passegger
L’equipaggio solerte obbediva
al comando di un vecchio destrier
Capitano Gorì siciliano
intelligente vero lupo di mar
L’altruista dal cuore più umano
che la storia potrà ricordar.
Navigava Mafalda maestoso
e dal bordo si udiva cantar
le canzoni dal ritmo gioioso
che l’Italia soltanto sa far.
Dopo quindici giorni di viaggio
sotto poppa una falla si aprì
poi accorse l’intero equipaggio
ma il destino il suo fato compì
Fra i passeggeri, un vescovo c’era
ed anch’egli, l’angoscia nel cuor,
porgeva a tutti parole amorose
poi donava la benedizion.
Le scialuppe in mar fe’ calare
per salvare prima donne e i bambin
poi la marcia Real fe’ suonare
per sfidare il tremendo destin.
L’acqua entrava ma il buon comandante
col telegrafo soccorso implorò;
poi con voce, con voce sonante
lancia un grido: “Si salvi chi può!”
Nella notte in mezzo ai marosi
il capitano e i suoi prodi ufficial
“Viva l’Italia!” più volte han gridato
poi scomparvero nei gorghi fatal.”