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Nasce l'Abbazia di S. Maria

fra potere civile e religioso
Nel X secolo, le contee carolingie cominciarono con le armi a ricaccia­re i nomadi dell'Est e gli islamici dal Sud. Un forte freno fu posto ai vichinghi del Nord e ai teutoni del Nord-Est.
Nello stesso periodo, Arduino III, marchese d'Italia, pose fine alle in­cursioni arabe consolidando il potere del Comitato di Torino, al quale fu investito il figlio Olderigo Manfredi.
Il potere civile e quello religioso poterono dedicarsi alla riorganizza­zione della Contea di Torino, che ricalcava il territorio diocesano, chia­mando alla cooperazione i Benedettini che in Francia avevano dato prova di proficua attività.
All'inizio del 1000, Olderigo Manfredi fondò l'Abbazia di S. Giusto a Susa.
Il Vescovo di Torino, Landolfo, nel 1037 chiamò i benedettini di S. Michele della Chiusa a costruire o riedificare (nel documento di fondazione non è ben chiarificato) un monastero a Cavour.
Nel 1064, la contessa Adelaide, figlia di Olderigo Manfredi fondò l'Ab­bazia di Santa Maria del Verano a Pinerolo.
Per inciso, si ricorda che la data di fondazione dell'Abbazia di Cavour precede di poco le date di inizio dei lavori di costruzione del duomo di Pisa e delle cattedrali di S. Marco a Venezia, di Saint Front a Perigueux, di S. Firmino a Tolosa e della nostra vicina Abbazia di Staffarda (cister­cense).
Nell'XI secolo, alla Chiusa di S. Michele vi erano allievi di Guglielmo di Volpiano, architetto benedettino, di gusto lombardo ma di scuola clu­niacense, che, da Digione ove si era trasferito, contribuì largamente al rinascimento romanico, lasciando tracce in Basilicata, in Campania e natu­ralmente in Piemonte, sua terra natale.
La progettazione dell'Abbazia di Cavour non doveva presentare alcuna difficoltà. Il terreno era pianeggiante e ben fornito di acqua proveniente dai pozzi. Lo schema degli ambienti monastici, collaudati ormai da seco­li, si sviluppò attorno alla chiesa e alla clausura con la foresteria, la scuola, il noviziato, l'economato, le scuderie, i magazzini e tutti gli altri servizi necessari alla vita spirituale e all'indipendenza economica della comunità monastica.
Nella clausura era prati­cato il silenzio, rotto solamente durante le riunioni nella sala capitolare.
I monaci entravano in chiesa dall'entrata che si apriva nel chiostro; i laici dell'Abbazia ed i conversi entravano dal portale occidentale. Le giornate dei monaci benedettini erano solitamente scandite da cinque riunioni di preghiera che incominciavano in piena notte.
Per quanto riguarda la struttura della chiesa, non è dato di sapere se quella antecedente (priorato) avesse una sola navata sovrastante la crip­ta. Se i benedettini trovarono questo stato di fatto, per costruire la nuo­va Chiesa su tre navate, abbassarono il piano di fondazione dei muri settentrionale e meridionale al piano pavimento della cripta, costruendo i due corridoi laterali ad essa, tuttora agibili.
La nuova chiesa risultò articolata su due diversi piani di pavimento: superiore quello del presbiterio e a livello di campagna quello delle pri­me tre campate ad occidente.
“…volendosi poi riferire ad antiche consuetudini costruttive, si può constatare come l’asse della chiesa, la quale è debitamente orientata, cioè presenta l’abside volto ad oriente, risulti inclinato di pochi gradi a Nord-Ovest; esso pare prolungare l’allineamento tra la vetta più alta della Rocca (462 m s.l.m.) e il punto dell’orizzonte oltre il quale il sole tramonta, nel solstizio d’estate, come per captare, con oscuri significati rituali, il primo apparire dell’ombra. Non è certo una novità il rapporto tra l’inclinazione dell’asse delle chiese e la posizione del Sole – anche se tali studi affascinanti meriterebbero maggiore attenzione – ma qui si vuole evidenziare come il sito, per la sua valenza misteriosa, per la magica vicinanza della Rocca e i rapporti con la luce solare, deve essere stato da sempre deputato al culto…” (Paola Salerno in “All’ombra della Rocca” – Piemonte Parchi 1986). 
“La cripta, così scrive Michelangelo Navire in “Landolfo di Torino (1010 - 1039)”
, punto cardinale dell'intero edificio, era il cuore della liturgia monastica e della devozione popolare rappresentata dalle reliquie del santo custoditevi. La sua sommità si presentava, come negli altri casi, emer­gente rispetto al pavimento della chiesa, in modo da servire come basamento del presbiterio dove i monaci officia­ciavano normalmente i sacri riti (la cripta di Cavour, a differenza delle altre due rimaste - Chieri e Testona -, si presenta oggi quasi integra ed è quindi esemplare per giu­dicare lo stile architettonico del Vescovo torinese che voleva differenziarle da quelle quasi coeve delle diocesi limitrofe).
La sua struttura era costituita da una parte centrale a tre piccole navate affiancate da due corridoi laterali. L'accesso era assicurato da due scalinate tali da consentire un andamento circolatorio dei visitatori che, in occa­sione di fiere e mercati o nella festa del santo, doveva­no essere in numero imponente.
Con volte a crociera sorrette da dodici colonnette e due absidi alle estremità, la cripta di Cavour appartiene alla rara tipologia delle cripte ad absidi contrapposte.
L'altare, situato al centro della penultima campata o­rientale, è costituito dalla sovrapposizione di tre basi di colonne romane, due delle quali rovesciate…”
Riguardo all’altare, Enrico Perassi in “Controstoria dell’Abbazia di Santa Maria in Cavour” dice “…quasi come la duchampiana ruota di bicicletta, l’altare della cripta dell’Abbazia di Santa Maria rappresenta fisicamente e simbolicamente il capovolgimento di un sistema di pensiero e del linguaggio artistico con il quale quest’ultimo si esprimeva. Il basamento di una colonna romana viene a Cavour rovesciato, il piede cioè del tempio pagano viene capovolto, ristabilendo con violenza inaudita un sistema assoluto, non diversamente da quanto avvenuto con la crocifissione dell’apostolo Pietro. Ciò che colpisce maggiormente è che nel compiere questo gesto iconoclasta, quasi dadaista, gli artisti della cripta conoscevano perfettamente la lingua classica e, a differenza degli artisti moderni, non subivano il fascino perverso ed ammaliante della rassicurante arte dei padri. Giunto in queste terre da sempre pagane, il messaggio cristiano sconvolge ogni orizzonte di pensiero…”
Con il termine dei lavori, anche l'Abbazia benedettina di Cavour si inserì in quel movimento culturale europeo che promosse il costante progresso necessario per liberare la società civile dai vincoli del feudalesimo ed avviarla sulla strada del riconoscimento dei diritti umani.

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